giovedì 1 gennaio 2015


Gli effetti della privazione delle relazioni affettive sui soggetti ristretti 



La detenzione rappresenta un evento fortemente traumatico per gli individui che ne vengono coinvolti. "Il carcere è un momento di vertigine. Tutto si proietta lontano: le persone, i volti, le aspirazioni, i sentimenti, le abitudini, che prima rappresentavano la vita, schizzano all'improvviso da un passato che appare subito remoto, lontanissimo, quasi estraneo", così definisce l'esperienza detentiva Francesco Ceraudo, medico penitenziario. Al detenuto non è dato di decidere con chi coltivare rapporti, e gli affetti rimangono drammaticamente fuori da ogni possibilità di scelta. La solitudine, la lontananza, e quindi l'impossibilità di avere continui e regolari contatti con i propri cari sono spesso l'origine di un crollo psicofisico, di cui risente tutta la famiglia, con la conseguenza di un'inevitabile frantumazione del rapporto emotivo-sentimentale.
L'individuo è costretto ad abbandonare il suo lavoro, la sua abitazione, gli affetti, ovvero tutti quegli elementi che costituivano il suo progetto di vita, per questo il carcere può rappresentare per il soggetto detenuto, una seria "minaccia per gli scopi di vita dell'individuo, per il suo sistema difensivo, per la sua autostima ed il suo senso di sicurezza", una minaccia che nel tempo si concretizza in una progressiva disorganizzazione della sua personalità.
La perdita di identità è poi condizionata dalla continua influenza della cultura carceraria, cioè di quella subcultura che si sviluppa tra gli appartenenti alla comunità carceraria, al di fuori dalle regole penitenziarie, che porta a poco a poco ogni individuo a divenire un "membro caratteristico della comunità penale" distruggendo "la sua personalità in modo da rendere impossibile un successivo adattamento ad ogni altra comunità".

fonti: http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/misure/bargiacc/cap3.htm

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